Ancor oggi a distanza di 4 anni dalla entrata in vigore della legge n.242 del 2016 la domanda più gettonata che attanaglia il settore cannabico italiano, riguarda la liceità della vendita delle infiorescenze.
Come al solito in Italia “fatta la legge trovato l’inganno” e quindi i nostri legislatori, anche in questo caso, non smentiti, creando una enorme confusione che potrebbe essere facilmente risolvibile se solo si volesse veramente.
Non potendo rimanere spettatori inermi di tale stagnante e non più sostenibile situazione proviamo noi stessi attraverso uno studio attento della normativa esistente a rispondere.
Abbiamo detto in precedenza che la legge 242/16 prevede la liceità della coltivazione della Cannabis Sativa l. (inserire link della legge) ma in essa non vi è alcun riferimento alla possibilità di venderne i fiori, così come non vi è alcun divieto.
A ciò deve aggingersi che lo scorso 30 maggio la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi a Sezioni Unite, con sentenza n. 30475 depositata il 10 luglio 2019 (inserire link della sentenza) ha così stabilito:
“la commercializzazione al pubblico di Cannabis Sativa L. ed in particolare di foglie, infiorescenze, olio, resina ottenuti dalla coltivazione delle predette varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicabilità della legge n. 242/2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà ammesse e iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/ce del consiglio del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati della predetta coltivazione che possono essere commercializzati, sicchè la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di Cannabis Sativa L., quali foglie, infiorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui all’art. 73 del d.p.r. 309/90, anche a fronte di un contenuto di thc inferiore ai valori indicati dall’art. 4 commi 5 e 7 della legge n. 242/2016, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensivita’”.
A questo punto il caso oggetto della suindicata sentenza è stato rimandato al tribunale di Ancona presso cui pendeva la causa e in data 16 luglio 2019 la camera di consiglio del riesame, facendo proprie le indicazioni ricevute dalla suprema corte di cassazione ha confermato il sequestro per tutti i prodotti contenenti una percentuale di tetraidrocannabinolo (THC), il principio attivo della cannabis, superiore allo 0,5% mentre non lo ha confermato per i prodotti con una quantità inferiore di THC mancando il fumus reato, in quanto le sostanze compravendute, sotto tale limite, non hanno effetto stupefacente, restituendo così i prodotti al negoziante.
A sostenere ancor di più ed in maniera più chiara e comprensibile la liceità della vendita delle infiorescenze di Cannabis Sativa l. Non aventi effetto stupefacente e quindi con valore del THC minore dello 0,5% è intervenuta anche la agenzia delle entrate che con la sua risposta n.232 (inserire link) avente ad oggetto “aliquota IVA applicabile alla cessione di prodotti derivanti dalla coltivazione della canapa” ha chiarito che relativamente alle infiorescenze di canapa rivolte al settore del florovivaismo l’aliquota IVA applicabile è quella ordinaria.
Questo chiarimento assume una importanza sostanziale nel fare chiarezza all’interno del labirinto di sentenza contrastanti e spesso incomprensibili che negli anni si sono susseguite, in quanto l’ente fiscale impositore dell’aliquota IVA il cui calcolo e successiva applicazione rende possibile la vendita commerciale di un qualsivoglia prodotto sul mercato italiano ha fornito relativamente alle infiorescenze di canapa una risposta finalmente chiara e definitiva, confermando di fatto la liceità della vendita. A contrariis, mai e poi mai l’Agenzia delle Entrate avrebbe potuto esprimersi sull’aliquota IVA, calcolandone la percentualew di imposizione, su di un prodotto o una merce il cui commercio risulta essere illegale per le leggi dello stato italiano.